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Il prof. D'Elia su "Noci… La storia per le strade"

L’Opera “Noci… La storia per le strade” di Pasquale Gentile obbliga il lettore a riflettere: sulla storia locale per la specificità dell’argomento, ma anche sulla storia e sulla storiografia in un quadro culturale più ampio e – spunto non meno importante – sulla narrazione storica, sulla capacità di accompagnare e coinvolgere il lettore in un processo di liberazione dei fatti narrati dal limbo della mera curiosità, dell’opportunismo – politico e ideologico, soprattutto – e/o da un vuoto campanilismo che tende a esaltare eventi leggendari (quando non proprio letteralmente inventati, il più delle volte travisando o mal interpretando documenti più o meno autentici) per costruire o accreditare una retrodatazione delle origini di una comunità – Noci, in questo caso – come se quella retrodatazione sia un elemento sufficiente per nobilitarla maggiormente rispetto ad altre comunità e agli altri paesi circostanti. L’Italia dei mille campanili trabocca di verità storiche assunte acriticamente e con molta disinvolta superficialità da testimonianze e documenti non sottoposti a un preventivo e rigoroso controllo delle fonti e una ponderata collocazione degli eventi narrati nel contesto più ampio della cosiddetta storia maggiore. Per questo – ma anche per altre e meno innocenti motivazioni – abbondano le leggende e anche clamorose falsificazioni, pericolose elucubrazioni e certezze su eventi storici – soprattutto ma purtroppo non solamente – a livello di storia locale. Emblematico il caso di Barsento, la cui fondazione è stata a lungo e da tanti attribuita – presumo in buona fede – ai monaci di Sant’Equizio su disposizione di Papa Gregorio Magno. Nasce così la leggenda della “badia senza abate e senza monaci”. La retrodatazione al 591 è senza dubbio suggestiva. Peccato che le pochissime notizie su Sant’Equizio dicono che le (poche) comunità monastiche da lui fondate o ispirate e difficilmente riconducibili a un ordine strutturato, non siano mai esistite al di fuori della “Provincia Valeria” (L'Aquila-Rieti-Tivoli) e che, alla morte del fondatore, sono confluite nella più ampia galassia dei Benedettini.

Con intenti diversi e probabilmente molto meno nobili – l’apertura di un Ipermercato – da poco più di vent’anni a Casamassima si ricorda con un Corteo storico il presunto arrivo di Corrado IV di Svevia per restituire il feudo a tale “Roberto da Casamaxima”. Doverosamente rilevata la sospetta coincidenza dei tempi,  occorre dire che nella ricostruzione si equivoca sul termine “paduli”, derivazione toscana di palude e utilizza come prova regina un “documento autentico” in cui si fa riferimento  a una località (Paduli, appunto) da identificare non nelle aree paludose nell’area di Casamassima ma più verosimilmente nel comune di Paduli, in provincia di Benevento, se non altro perché, Corrado IV di Svevia giunge via mare  in Puglia con tutto il suo esercito e dopo la Dieta di Foggia – febbraio 1252 – nella primavera dello stesso anno pone l’accampamento del suo imponente esercito (circa centomila uomini) in Campania, giusto nell’area tra Paduli e Grottaminarda e deve risolvere molti problemi. In particolare, è impegnato in una lotta senza esclusione di colpi contro i baroni che, sostenuti e finanziati da papa Innocenzo IV, si oppongono al potere imperiale, ricorrendo anche ai servigi di mercenari saraceni. L’operazione dura molti mesi e si conclude solo nel 1253 quando riporta sotto il suo controllo prima Caserta e Acerra, poi Capua e infine Napoli, nell’ottobre dello stesso anno. In questo contesto, di intrighi, scomuniche, una guerra lunga e estenuante, lutti familiari e una precaria condizione di salute (morirà a Lavello il 21 maggio 1254) la sola idea che l’Imperatore sia sceso con l’esercito al seguito da Foggia fino alle paludi di Casamassima (140 Km in linea d’aria) per restituire il feudo (?) a Roberto da Casamaxima e poi proseguire fino a raggiungere il territorio di Paduli e Grottaminarda (almeno altri 170 Km, sempre in linea d’aria) sembra francamente molto più di una bufala. Ma c’è ben poco da meravigliarsi: fino a non molti anni fa, nelle scuole di Noci imperversava la leggenda di Filippo d’Angiò e del bosco di noci, per tacere di Carlo Magno che sarebbe venuto a Noci per costruirvi la torre.

L’opera, questa sì, storica di Pasquale Gentile, mentre fa giustizia degli spropositi campanilistici, dei miti e delle leggende, riporta la questione delle origini e dei progressi della nostra cittadina nell’alveo di una ricostruzione ponderata dei fatti, acquisiti solo dopo una rigorosa verifica dei documenti e delle testimonianze, secondo la migliore tradizione della storiografia degli annalisti francesi (Marc Bloch e Lucièn Fevbre in particolare).

Nell’Opera di Pasquale Gentile si coglie in tutta la sua potenza evocativa l’intreccio tra la storia e le numerose discipline necessarie a comprendere i processi politici, economici, sociali, culturali e religiosi, integrate e intrecciate nel fluire di una quotidianità solo i apparenza statica, che hanno segnato e disegnato la nostra comunità attraverso una passeggiata tra i vicoli e le gnostre del centro storico, le chiese, le cappelle e le confraternite, i palazzi delle famiglie dei notabili, le porte, i conventi, i servizi sociali e le scuole, gli uomini illustri e quelli meno illustri (la banda Curci) che pure avuto comunque un ruolo nelle vicende cittadine. Un viaggio che giunge fino alla “gloriosa piscina” sulla quale, personalmente, conservo opinioni differenti non tanto per il manufatto – realmente innovativo – quanto per ragioni che sarebbe lungo spiegare in questa sede ma che, a mio avviso, ha determinato l’oggettivo isolamento del nostro paese rispetto agli attuali itinerari turistici, primo fra tutti il comprensorio dei trulli e delle grotte. E, poi, fuori dal centro, il territorio con i richiami incisivi e puntuali all’economia e alle lunghe lotte per la terra, alla questione demaniale, alle masserie, ai pozzi e alle risorse idriche, necessarie per  lo sviluppo delle attività produttive.

Un viaggio affascinante ed esaltante nel tempo e nello spazio, documentato e illustrato con immagini di gran pregio e arricchito da una articolata bibliografia.

A tutto questo si aggiunge la capacità di Pasquale Gentile di esprimersi con un linguaggio chiaro e incisivo, tale da portare il lettore quasi a toccare con mano i luoghi e a vivere gli eventi narrati. L’uso del presente storico e il rifiuto intenzionale di un linguaggio tecnico rende la lettura avvincente e coinvolgente, accessibile anche ai non addetti ai lavori, che poi – mi sembra di cogliere – sono i veri destinatari di questo lavoro.

Consiglio – per mia deformazione professionale – ai docenti di ogni ordine di scuola di utilizzare questo lavoro, soprattutto per riflettere: sulla storia della nostra comunità, certo, ma anche sulla storia in generale, se non altro perché “il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, e possiamo comprendere il presente unicamente alla luce del passato. Far sì che l'uomo possa comprendere la società del passato e accrescere il proprio dominio sulla società presente: questa è la duplice funzione della storia", ci insegna Edward Carr (Sei lezioni sulla storia- Einaudi). Mi permetto di aggiungere, alla luce della cronaca di questi giorni, “…per non ripetere quegli errori e quegli orrori che hanno seminato morte e distruzione in tutto il mondo e culminati con Hiroshima e Nagasaki, l’olocausto, i gulag e i milioni di morti della seconda guerra mondiale”. L’integrazione diventa poi indispensabile se si considera che, per una inquietante combinazione del destino, domenica 27 ottobre 2019 potrebbe ripetersi una nuova “marcia su Roma” e la riedizione di un passato doloroso troppo in fretta dimenticato (27 ottobre 1922) da un popolo che sembra affetto da una forma virale di Alzheimer collettivo e che avrà come conseguenza diretta il ritorno a un nuovo regime autoritario di massa (Gramsci) un tempo chiamato fascismo e che oggi si definisce sovranismo. Due nomi per definire una identica aberrante realtà. E tutto proprio quando scelte scellerate di una moltitudine di decisori politici – di orientamento diverso quando non teoricamente opposto – hanno utilizzato energie degne di miglior causa per svilire e annacquare i programmi di storia nella scuola di base (del resto, nelle superiori non era necessario: lì erano già annacquate dai tempi della riforma varata nel 1923 dal ministro Giovanni Gentile).

A Pasquale Gentile, insieme ai dovuti e meritatissimi complimenti, auguro di arricchire ulteriormente il patrimonio culturale e la conoscenza storica della nostra comunità e del nostro territorio, soprattutto perché la conoscenza rappresenta il solo argine contro il dilagare della demagogia e l’unico, ultimo baluardo a difesa della libertà, della democrazia e della crescita civile, sociale e morale di ogni comunità.

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29 agosto 2019

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